Apocalisse 1:3

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    Elfo Illuminato

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    Apocalisse 1:3

    «Signor Berk, è a conoscenza del motivo per cui si trova qui?»
    Chiusi gli occhi, ammiccai un sorriso.
    «Domanda banale, chiedo scusa per la mancanza di riguardo. Dottor Hateboer, non scivoli in queste sciocchezze. Forse la richiesta che ho portato è troppo sconveniente?»
    Si sistemò i polsini lisi del suo camice e formulò nuovamente la domanda.
    «Signor Berk, non si risponde ad una domanda con un’altra domanda. Perciò ora ricominciamo, fingerò di non averla sentita; mi aspetto maggiore collaborazione… Lei è a conoscenza del motivo per cui si trova qui?»
    Aveva preso gli occhiali tra le dita e iniziato a pulire le lenti con uno straccio sporco, finendo con peggiorare la situazione.
    Sorrisi sarcastico.
    «Sono qui per essere istruito, uscirò affermando di aver vagheggiato in preda al delirio.»
    «L’ipotermia fa di questi scherzi; lei deve soltanto attenersi alle regole. Se terrà la bocca chiusa avrà il giusto riconoscimento, però a me deve dire tutto.»
    Chiusi gli occhi e tornai con la mente a quel giorno.
    Stavo sorvolando a bassa quota il Polo Nord, anzi mi ero spinto oltre per quasi duemila miglia; sapevo che la rotta era imprudente, ma l’istinto mi aveva suggerito di proseguire.
    «C’era un chiarore diverso nel cielo, si rifletteva sul ghiaccio in maniera anomala e quasi difforme. Fui incuriosito e mi avvicinai, era un evento atmosferico al quale non avevo mai assistito prima.»
    «Cosa ha pensato che fosse, signor Berk?»
    «Non pensai a nulla in verità, solo di avvicinarmi più che potevo. Fu in quell’istante che una forza gravitazionale mi spinse verso terra, ma controllando la discesa.»
    «Mi sta dicendo che non era più lei a comandare il suo velivolo?»
    «Proprio così, fino a quando mi trovai di fronte un enorme arco all’interno del quale si muoveva una massa di energia imprecisata.»
    «È sicuro si trattasse di un arco? Ha osservato bene se invece fosse una cavità della montagna, o solo suggestione?»
    Scossi la testa, era lucido e chiaro in ciò che avevo visto.
    «Era qualcosa di metallico, di sicuro non opera della natura. Venni spinto dentro, dall’altra parte c’era un paesaggio molto differente rispetto a quello che avevo appena lasciato alle spalle.»
    Mi rilassai completamente, sprofondai sul lettino tenendo gli occhi chiusi; poi di nuovo la voce del dottore.
    «Che tipo di paesaggio, signor Berk; può descriverlo?»
    «Mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo, c’erano foreste dappertutto e montagne alte… persino animali di dimensioni mostruose.»
    «Che tipo di animali?»
    «Dinosauri credo. Alcuni avevano il collo molto lungo, altri il becco ricurvo e le ali.»
    Ero convinto di essere finito in un portale spazio – tempo.
    «Com’è che l’ha definito in precedenza? Uno Stargate… lei ha detto di essere passato attraverso uno stargate; ma sa cos’è?»
    Sbuffai.
    «Se ha già parlato con i miei superiori, allora perché mi fa raccontare di nuovo tutta la storia?»
    «Perché non l’ho mai ascoltata dalla sua voce, la verità bisogna udirla con le proprie orecchie, specialmente a seguito della sua stramba richiesta. Avanti, continui…»
    «Il mio sguardo era affascinato, la Terra non è cava come qualcuno dice e non esiste nessun passaggio nascosto tra i ghiacci; era proprio un altro mondo! Alle mie spalle non vedevo più il portale. Il Sole sembrava quello di sempre, perciò l’ipotesi che fossi comunque sul pianeta Terra era forte. Purtroppo ero a bassa quota, troppo… davanti a me si stagliavano alte montagne e vegetazione.»



    «Mayday, mayday…»
    Era inutile, nessun segnale.
    Non potevo atterrare, perciò tentai di riprendere quota e funzionò. Una volta in cielo ammirai il panorama, da mozzare il fiato. C’era una città a ridosso della foresta, interamente costruita di legno e in simbiosi con tutto l’ambiente circostante: un paradiso di strade e abitazioni tra gli alberi e lungo i corsi d’acqua.
    «Mio dio, che spettacolo.»
    Poi un ampio altopiano che faceva al mio caso, sembrava proprio una pista d’atterraggio scolpita su un’enorme monolite. Scesi con cautela e le ruote toccarono morbidamente terra; dopo una lunga corsa attraverso la spianata sulla roccia il mio aereo finalmente si arrestò. Adesso potevo scendere, ero sano e salvo.
    Il vento mi accarezzava i capelli e la temperatura era buona, venticinque gradi centigradi probabilmente. Non era contemplabile un epilogo del genere, considerato che fino a poco fa sorvolavo le distese ghiacciate del Polo Nord.
    Una sensazione di calma assoluta permeava il mio corpo, finché non fui più solo. Esseri di luce erano giunti da me planando nell’aria. Veleggiavano sospesi nel vento, ma senza ali. Il loro corpo era avvolto da un’aura luminosa e delicata. Distinguevo i loro volti, erano uomini e donne. Sorrisi, finché uno di loro mi porse la mano.
    «Non avere paura, non ti faremo alcun male.»
    Afferrai quella mano e un istante dopo ero anche io in cielo con loro, sospeso nel nulla.
    «Dove mi state portando?» chiesi.
    Li comprendevo, ma non stavamo usando la voce per comunicare. Era pura telepatia, ed anche io ero in grado di usarla.
    «Lo vedrai presto.»
    Fissai le mie mani, stavo incominciando a brillare della loro stessa luce.
    «Sono morto e mi sono schiantato; questo è il paradiso?»
    «Devi soltanto avere fede.»
    Infatti mi sentivo in pace con me stesso e con il creato, era una sensazione nuova e magnifica. Il mio corpo si era fatto leggero e quando loro mi lasciarono la mano ero rimasto sospeso anche io in aria. Senza accorgermene avevamo cambiato luogo.
    «C’è il mare qui sotto, ma non riesco a capire di che colore sia!»
    «Questa tonalità nel tuo mondo non esiste, o meglio non sei in grado di vederla in questo modo.»
    Non avrei saputo descriverla, non era azzurro e neppure verde; ma qualcosa di simile. A questo punto il desiderio di sapere dov’ero finito era dominante. Stavo quasi per esprimere la mia opinione quando l’essere di luce mi appoggiò l’indice sulle labbra. Fu un tocco delicato e morbido, come di una mano femminile; ma non riuscivo a scorgere il suo volto. Fu quello un gesto incomprensibile per me, visto che appunto non stavamo utilizzando le corde vocali per comunicare.
    Mi abbracciò ed ebbi la sensazione di venire trasportato ancora via. Ma era il paesaggio che era cambiato sotto di me, ora più simile a qualcosa che avevo già visto sulla Terra.
    «Dove siamo?»
    «C’è un altro portale d’ingresso qui sotto, purtroppo non possiamo più utilizzarlo.»
    Osservai meglio; ai miei piedi si stendeva un immenso tappeto di plastiche d’ogni tipo.
    «Il sudiciume del mio pianeta è giunto fino a qui?»
    Osservai il mio interlocutore che iniziò a prendere forma umana; in quel posto infatti la loro luce si affievoliva.
    «Una volta era bello anche dalla vostra parte, prima che iniziaste a proliferare. Il nostro dio è molto adirato ed ha minacciato di tornare di là, da voi. Soltanto che stavolta non sarà clemente né pacifico.»
    La mia domanda fu spontanea.
    «Che cosa devo fare?»
    Era ciò che voleva sentire da me.
    «Tornerai di là e dirai alla tua progenie di fare alcune cose, ti darò una lista.»
    Adesso che riuscivo a fissarla mi accorgevo che era proprio una donna; completamente nuda, ma non si vergognava di mostrare la sua intimità né io mi sentivo in imbarazzo. Presi la sua mano e nella mente iniziarono a muoversi i suoi pensieri, erano le informazioni che dovevo riferire.
    «Perché proprio io?» deglutii.
    La fissai con spavento; la mia era una missione impossibile. Non potevo riferire nulla di quanto mi era stato appena chiesto.
    «Immagino e comprendo molto bene il tuo turbamento, uomo; ma ti dico ugualmente di non esitare. Stavolta non sarà soltanto un po’ d’acqua, nessuno si salverà.»
    La quiete che mi aveva accompagnato finora si era dissolta, adesso avevo il cuore in tumulto.
    «Non esiste un altro modo?» obiettai allargando le braccia.
    «Gli altri a loro tempo volarono via con le loro astronavi; ma voi non sapete nemmeno mettere il naso fuori dalla vostra orbita. Perciò no, non c’è un’alternativa. Dovete cambiare o per voi sarà la fine.»
    Il tono di voce pacato e leggero mal si contrapponeva alla veridicità di quelle parole. Non avevo scelta, l’uomo avrebbe dovuto distruggere gran parte del suo progresso e fidarsi di un popolo sconosciuto venuto dal cielo.
    «Ci proverò.»
    Il mio era tuttavia un sorriso malinconico, poi seguì un suo bacio sulla fronte. Era la mia investitura.
    «Buona fortuna profeta, ne avrai bisogno.»
    L’istante successivo ero nel freddo d’una calotta di ghiaccio, steso a terra e pieno di ferite; accanto a me i rottami dell’aereo.
    «Sono precipitato allora.»
    A temperature molto basse si va in ipotermia e il cervello secerne delle sostanze che portano magnifiche suggestioni. Eppure la donna di luce era ancora accanto a me e mi riscaldava col suo seno prosperoso. Si congedò soltanto quando sentì che non eravamo più soli.
    «Roger, l’abbiamo trovato.»
    Si trattava probabilmente della squadra di soccorso della zona.
    Erano coperti sotto goffe tute imbottite. Ci rifugiammo all’interno di un grosso guscio di fibra di carbonio a nido d’ape; lì mi vennero prestate le prime fondamentali cure.
    «Non muoverti e lascia fare a noi.»
    Le loro mani erano calde e l’energia che mi penetrava fin dentro le ossa la sentivo buona. Le mie ferite guarirono all’istante e il cuore tornò a sentire il sangue.
    Uno di loro mi porse una strana tisana, l’aroma aveva un sapore che non avevo mai sentito.
    «Sei stato da loro, perciò non indugiare e bevi. Immagino che d’ora in avanti avrai un bel po’ da fare.»
    Il mio sguardo angustiato non aveva bisogno di parole.



    «Basta così signor Berk, resterà nella struttura per ulteriori accertamenti.»
    Mi sollevai dal lettino, tremavo.
    «Ma l’ha capito, dottor Hateboer, che non c’è tempo da perdere?»
    Incrociò le braccia ed emise una risata irrispettosa.
    «E cosa vuoi che faccia, che dica veramente al Presidente di buttare giù tutte le nostre centrali nucleari e tornare a coltivare i campi?»
    «Sì, se vuole continuare a vivere.»
    Scosse il capo, poi diede l’ordine. In men che non si dica una squadra di cinque infermieri era sopra di me.
    «Ci difenderemo, signor Berk; non immagina neanche quanto siano avanzate le nostre difese.»
    Venni trasportato via di peso e la cosa non mi piaceva affatto.
    «Dove mi state portando? Non sono pazzo, perché la camicia di forza?»
    A nessuno importava di cambiare atteggiamento.
    Dalla fretta con cui stavano cercando di mettermi fuori gioco era chiaro che conoscessero già la verità. Così fui scaricato in una comoda stanza d’ospedale, ma sapevo che si trattava di una elegante prigione.

    Non ricordo più quanto tempo sia trascorso, so soltanto che da quel giorno ho smesso di vivere. Passo tutto il mio tempo a fissare la parete davanti ai miei occhi, nell’attesa del giudizio universale.
    «Ma io non sono pazzo, infermiera. Lui arriverà e ci sterminerà tutti.»
    Nessuno voleva ascoltarmi, ottenevo in cambio sempre la solita iniezione giornaliera. Succedeva sempre così, che mi bruciava il braccio, sentivo il liquido diffondersi dentro di me e poi tornavo quieto. Infine la sua voce calda e accomodante.
    «Stia tranquillo signor Berk, lo sappiamo; ce lo ha già ripetuto almeno un milione di volte. Ma qui è al sicuro, nessuno le farà del male.»
    La presi per un braccio e lo strinsi forte.
    «Grazie infermiera, lei è sempre così gentile e carina con me, almeno a lei sono riuscito a dire. E beati quelli che ascolteranno le parole di questa mia profezia e faranno tesoro delle cose che vi ho dette, il tempo è ormai vicino!»

     
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    I dialoghi quasi a botta e risposta, non troppo densi, fanno questo brano piacevole e di facile lettura.
    Ho apprezzato la rivelazione mistica che i limiti umani non ci permette di vedere.
     
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    CITAZIONE (Tsunami~ @ 30/12/2023, 19:13) 
    I dialoghi quasi a botta e risposta, non troppo densi, fanno questo brano piacevole e di facile lettura.
    Ho apprezzato la rivelazione mistica che i limiti umani non ci permette di vedere.

    Concordo, sono sempre molto piacevoli da leggere i tuoi brani!
     
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    Ma è una versione rielaborata di un tuo vecchio brano? Perché mi sembra di aver letto un tuo racconto simile ma non proprio uguale a questo...
    Occhio ai tempi verbali un po' ballerini, come qui:

    CITAZIONE
    Venni trasportato via di peso e la cosa non mi piaceva affatto.

    Altra piccolezza che ho notato e potrebbe interessarti (se non la sapevi già):

    CITAZIONE
    sembrava proprio una pista d’atterraggio scolpita su un’enorme monolite.

    Monolìte e monolìto non sono tecnicamente le forme più corrette... secondo la Treccani, il termine giusto sarebbe monòlito. Io personalmente me ne sbatto e uso "monolito" senza accento diacritico e lo leggo "monolìto" (mi piace di più). :)

    Ho notato che hai fatto un uso estensivo dei dialogue tags dinamici, da lì la scorrevolezza del testo. Peccato per le forme passive che sono ancora predominanti nei tuoi brani (proprio non mi vanno giù :asd:).

    Per quanto riguarda il contenuto, l'unico appunto che mi sento di fare è che forse inconsciamente ancora troppa gente è alla ricerca della figura salvifica che "tolga loro le castagne dal fuoco": una volta era Cristo, ora la razza aliena. Magari sarebbe ora che l'essere umano abbandonasse questo atteggiamento infantile, si prendesse le proprie responsabilità acquisendo consapevolezza e cominciasse a risolvere da sé i problemi.
     
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    Grazie del commento, sempre preziose le tue parole! :sisi:
     
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